Nell’ambito della comunicazione della ricerca scientifica, il peer review, tradotto in italiano con revisione dei pari, paritaria o paritetica, è un processo di selezione e prima valutazione di un documento che espone i risultati di un ricercatore. Questo processo, chiamato anche refereeing (arbitrato o meglio revisione) viene generalmente supportato dai referee o revisori, cioè coloro che giudicano l’idoneità del lavoro presentato, concedendone discrezionalmente la pubblicazione sulle riviste specializzate. Sono in molti a chiedersi quanto è affidabile questo sistema, ma soprattutto cosa si può fare per migliorarlo?
Naturalmente le cose sono molto più complicate di quanto sembrino ad uno sguardo distratto, e i processi di peer review possono essere single blind (dove gli autori non conoscono i revisori), double blind (i revisori non conoscono gli autori e viceversa) o addirittura triple blind (editori, revisori e autori non si conoscono tra loro). Anche i criteri di pubblicazione sono molteplici, ad esempio Science e Nature esigono standard estremamente rigorosi per la pubblicazione, e spesso respingono anche documenti contenenti lavori di buon livello se questi non sono dei veri passi avanti nel loro campo. Questi approcci differenti traspaiono dalle percentuali di ciò che viene pubblicato: Nature pubblica circa il 5 per cento dei lavori che riceve, mentre Astrophysical Journal è al 70%
Il criticismo generato dai processi di peer review è inevitabile, anche se di recente alcuni aspetti sono stati migliorati notevolmente. Infatti una delle prime critiche mosse, denunciava l’inesorabile lentezza del sistema, quando occorrevano mesi o addirittura anni per l’approvazione di un paper, prima della pubblicazione effettiva. In pratica, gran parte delle notizie su nuovi risultati, in particolare quelle inerenti astronomia ed economia, non avviene più attraverso giornali peer-reviewed, piuttosto si diffondono con i cosiddetti preprints, prepubblicazioni presentate su server specializzati come il noto arXiv.org.