La chimica del futuro e il futuro della chimica – XXIII Carnevale della Chimica

E così siamo finalmente e forse un po’ tardivamente giunti alla 23esima edizione del Carnevale della Chimica, il 23 è un numero primo sicuro e felice, in biologia è emblematico del numero di cromosomi nelle cellule germinali umane  (quando le altre ne hanno 23 x 2 = 46), mentre in chimica rappresenta il numero di massa atomica dell’isotopo stabile di sodio e il numero atomico del vanadio, un elemento i cui sospetti poteri antidiabetici fanno prospettare una nuova classe di composti con promettenti capacità terapeutiche e caratteristiche farmacocinetiche tali da lasciare un’ottimistica speranza in questo frangente per il prossimo futuro. 23 è anche l’esponente in base dieci applicato nel numero di Avogadro (6,022 · 1023) che ci ricorda come ordine di grandezza, quante sono le particelle contenute nell’unità di misura definita dai chimici con il nome di mole, questo dovrebbe essere anche un monito per tutti gli omeopati come limite fisico oltre il quale non è più possibile concepire una diluizione estrema, ove si può solo fantasticarla.

Se la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto nel romanzo di Douglas Adams Guida galattica per gli autostoppisti non fosse stata 42, potrei tranquillamente azzardare che il numero 23 si adatterebbe anche meglio, Walter Sparrow (magistralmente interpretato da Jim Carrey nel film “Number 23” ci avverte che

“Non esiste il destino. Ci sono solo scelte da fare. Alcune scelte sono facili, altre no. E sono quelle che contano davvero, quelle che fanno di noi delle persone.”

E la chimica (insieme alle scienze tutte) progredisce grazie alle scelte degli stessi uomini, che si prodigano per assicurarci un futuro migliore, impegnati costantemente nella risoluzione di problemi complessi e di ampie ripercussioni in un mondo sempre più caotico e affetto da ritmi frenetici. Secondo alcuni autorevoli pensatori provenienti da vari settori della ricerca è necessario partire da ciò che sappiamo dell’imminente futuro. Sappiamo che per il 2050 la popolazione mondiale aumenterà di un paio di miliardi di individui e che il 75% abiterà nelle città contro l’attuale 50%. Ciò si traduce in un esplosione di consumi, che aumenteranno ulteriormente lo sfruttamento di energia da risorse non rinnovabili con gravi ripercussioni se non verranno introdotte alternative sostenibili al più presto. Maggiori densità urbane comportano maggiori rischi di pandemie, aggravati da un invecchiamento dell’età media a livelli critici. Chiaramente questa è solo una sintesi estrema.

Dovrebbe bastare solo questo scorcio di scenario plausibile dell’anno di grazia 2050 per concordare unitariamente che l’obiettivo da porci oggi è quanto mai impegnativo: chiunque sulla Terra dovrà avere il diritto ad una vita sicura, salutare e appagata dalla simbiosi con il nostro pianeta. Per raggiungere questo obiettivo si ritiene diffusamente che la chimica, tra le altre scienze, giocherà un ruolo primario nello svolgimento di questa visione del futuro. Ma chi sono i futurologi della chimica?

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Carpe Carbo Diem (La guerra impossibile contro il carbonio)

Dum loquimur fugerit invida

aetas: carpe [carbo] diem, quam minimum credula postero

(Mentre parliamo il tempo sarà già fuggito, come se ci odiasse.

cogli l’attimo [e il carbonio], confidando il meno possibile nel domani)

In tutto il mondo durante il 2011 sono state prodotte almeno 35 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio, questo significa che ogni giorno dell’anno circa cento milioni di tonnellate di CO2 arricchiscono l’atmosfera di uno dei principali gas responsabili dell’effetto serra. Una produzione che diventa sempre più preoccupante e genera allarme per gli effetti a lungo termine che potrebbe generare. Urge quindi una ricerca rivolta alla risoluzione di questo impellente problema, con tutti i mezzi a disposizione, ma soprattutto che assicuri la sua sostenibilità evitando di intraprendere percorsi che comportino rischi che potrebbero rivelarsi peggiori della situazione attuale.

Una ricerca che non è affatto semplificata dall’incessante dibattito più che altro politico (e patetico, il più delle volte) o ideologico che contamina la scienza con reazioni sicuramente controproducenti. Il problema però sembra essere molto più complesso di quanto inizialmente delineato, e i rimedi proposti finora si perdono spesso nel bilanciamento poco equilibrato tra i pro e i contro.

Proviamo ad approfondire con qualche riflessione, evitando di scadere nelle annose diatribe come la causalità tra concentrazione atmosferica di CO2 e aumento delle temperature e soprattutto nel poco noto paradosso verde, il quale è di natura prettamente economica esulando pertanto dai nostri scopi.

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Ci arriveremo a metà strada?

Il mio francobollo da collezione!

Ho provato l’impulso irrefrenabile di condividere, nella lingua dei miei lettori (pochi, ma buoni), ciò che ho appena letto in un editoriale politico di Nature lanciato poche ore fa.

Nature che si occupa di politica? Ebbene si, l’editoriale espone una riflessione attenta e ragionata sull’importanza delle opportunità e le ripercussioni nel campo della ricerca scientifica, di cui le nuove squadre politiche europee dovranno occuparsi nell’immediato futuro.

Spagna, Italia e Grecia, tutte con nuovi assetti governativi e nuove regole per la ricerca, nonostante le pressioni della crisi economica, devono considerare che investire nella scienza adesso, potrebbe fruttare benefici enormi.

Scrive Nature:

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Percezioni artificiali

La percezione della realtà come tutti la conosciamo, passa attraverso i cinque sensi tradizionali, quelli che nella letteratura Buddista venivano identificati come le “cinque facoltà materiali” (pañcannaṃ indriyānaṃ avakanti) e apparivano in una rappresentazione allegorica già nel Katha Upanishad (approssimativamente nel VI secolo p.e.v.), con cinque cavalli alla testa di un  “carro” (il corpo) guidato dall’auriga, l’incarnazione iconica della mente.

Un’immagine atavica si forma immediatamente nei nostri pensieri, i cinque cavalli scalpitanti come formidabili interfacce multisensoriali per il mondo circostante, consentono al carro di procedere in sicurezza nel suo percorso grazie all’abile supervisione del conduttore, in parallelo nella nostra realtà compongono uno straordinario laboratorio fisico-chimico dotato di strumenti sofisticati, pronti all’uso e privi di libretto di istruzioni, ma che tutti riusciamo facilmente a sfruttare per archiviare le nostre esperienze percettive, migliorando giorno per giorno la sicurezza delle nostre azioni.

ResearchBlogging.org

Considerato che ogni tipo di percezione, al limite del riduzionismo, può essere sintetizzata come uno specifico fenomeno fisico o chimico che viene rilevato da un sensore dedicato e predisposto per riferire le misure effettuate, non appena il progresso scientifico ne ha concesso la possibilità, l’impegno nella ricerca per la risoluzione di infiniti dettagli tecnici per sviluppare la tecnologia sensoria non è mai venuto meno, alimentando i due settori principali in cui si applica: sostituti e surrogati dei sistemi percettivi di cui gli esseri viventi sono dotati.

Ed è così che schiere di scienziati e tecnici specializzati nelle più svariate discipline in fruttuose ed armoniose collaborazioni sono riusciti a replicare artificialmente tutti e cinque i sensi, e forse anche qualcuno in più, seguendo un percorso tanto arduo quanto decisamente … stimolante!

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Benzina dalle formiche!

Un catalizzatore basato sul ferro per la riduzione di bicarbonato a formiato. Imagecredit: WILEY-VCH

Sembra talmente banale, una di quelle idee spiazzanti e sotto gli occhi di tutti, che tuttavia a causa di quell’ottica vigente totalmente stereotipata che nasconde anche l’intuizione più evidente, rimane sempre in secondo piano.

La domanda è semplicissima e non nascondo di essermela posta molte volte anche io: le formiche sono la chiave per il carburante del futuro?

L’acido formico (HCOOH) il più semplice acido organico che deve il suo nome proprio alle formiche, nel cui organismo viene sintetizzato e che lo usano come veleno urticante, rappresenta una delle molecole ideali per immagazzinare l’idrogeno, in maniera efficace e sicura e potrebbe diventare il “serbatoio” energetico rifocillato da energie rinnovabili per alimentare le automobili del XXI secolo, che è già iniziato, non dimentichiamolo, anche se forse non sembrerebbe…

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Grafene: dal Nobel alla teoria del tutto

Una simpatica caricatura del premio Nobel per la fisica (2010). Imagecredit: Wired

Grafene, poliedrico materiale, banalmente composto da innumerevoli atomi di carbonio ben allineati (un po’ come ci vorrebbero i nostri governanti), ma dalle mille sfaccettature e infiniti prodigiosi utilizzi, molti dei quali ancora inediti, vezzeggiati in ogni dove subito dopo l’annuncio del premio Nobel.

Nobel che ha donato la notorietà suprema ai giovani scienziati (sembra quasi un ossimoro!) Andre Geim (per esteso Andrej Konstantinovič Gejm) e Konstantin Novoselov (Konstantin Sergeevič Novosëlov), che per primi hanno studiato le proprietà di un materiale bidimensionale così interessante e rivoluzionario, ma che si ottiene con la semplicità dello strappo di un nastro adesivo.

Ma c’è di più, molto di più. E’ in ballo l’essenza stessa di tutte le teorie che regolano l’universo. Trascurando l’aspetto prettamente materiale della scoperta, mi perdonino i due insigniti, sposterei il focus verso i lidi più teorici e ipotetici della meccanica quantistica. La domanda è:

Può la fisica del grafene dimostrarci che lo spazio-tempo è un ologramma, un miraggio?

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Come costruire un motore a curvatura usando i metamateriali

Una rappresentazione della velocità a curvatura vista dall'interno secondo gli autori di Star Trek. Imagecredit: Paramount via Memory Alpha

I metamateriali sono dei materiali artificiali creati appositamente con l’intento di fornire alcune proprietà molto particolari ad un oggetto che non potrebbe mai disporne altrimenti.

E queste proprietà “ingegnerizzate”, come qualcuno le definisce, di solito si applicano alla loro capacità di sostenere modifiche nel campo elettrico o magnetico.

Appartenenti alla famiglia dei materiali compositi, questi metamateriali sono un’eccezionale palestra in cui modificando le peculiarità strutturali a livello molecolare, si ottengono una serie di proprietà elettromagnetiche, con effetti esotici oltre ogni immaginazione.

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L’ambasciatore della Terra non è stato avvisato. Interviene il premier

Se un extraterrestre oggi avesse deciso di improvvisare una visita di cortesia al nostro appetitoso pianeta, sarebbe rimasto alquanto deluso per la mancata accoglienza che avrebbe dovuto onorare il primo contatto dell’umanità con una civiltà extraterrestre.

Già, perché come riportato dalle principali testate nostrane (come La Stampa e Il Giornale, tanto per citarne un paio) ispirate dall’AGI e da molte altre testate straniere per niente sensazionalistiche, tra le quali il serissimo Telegraph, e non è da trascurare il sobrissimo Sunday Times, che per leggere la news farlocca però, richiede un modico obolo pari a una sterlina, sempre che non siate abbonati, insomma, tutti annunciano con grande enfasi l’istituzione della prima ambasciata terrestre.

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Marte: progetti di colonizzazione in corso

Il sottile strato atmosferico di Marte visibile sull'orizzonte. Imagecredit: Wikimedia Commons

Ecopoiesi è un neologismo che deriva dal greco (οικος, casa  e ποιησις, produzione) e si riferisce al processo che origina un ecosistema.

Robert Haynes coniò questo termine agli inizi degli anni ’90 iniziando il dibattito sul terraforming dei pianeti extraterrestri. L’ecopoiesi è una sorta di ingegneria planetaria che prepara il terreno, un primo stadio della terraformazione vera e propria, in cui si sfruttano eserciti microscopici, estremisti ambientali e straordinari genieri che si occupano di creare le condizioni primordiali per una successiva sostenibilità delle forme di vita superiori.

Da allora, non sono stati fatti grandissimi passi avanti, se non sul piano teorico,  ma almeno si è arrivati ad una conclusione poco discutibile: i cianobatteri, gli antichi microorganismi fotosintetici che contribuirono a rendere la Terra abitabile 2,5 miliardi di anni fa, colonizzando praticamente ogni più piccolo anfratto del nostro pianeta, possono fare la differenza.

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Dalla telepatia sintetica alla tecnopatia: le macchine controllate dal cervello

Micah Sanders, il tecnopate di Heroes. Imagecredit: Wikimedia Commons

Tecnopatia e telepatia non sono (solo) malattie che colpiscono chi guarda troppo la TV o passa troppe ore davanti al computer, ma in questi ultimi tempi sembra che l’argomento non sia più solo appannaggio della pura fantascienza e rappresentano una stupefacente realtà tecnologica.

L’interfaccia cervello-computer, meglio nota con il termine inglese brain-computer interfaceBCI), è un vero e proprio mezzo tecnologico di trasmissione del pensiero, acquisito ad esempio tramite un segnale elettroencefalografico, che viene “tradotto” in un flusso di bit da un computer, per inviare una serie di comandi destinati al dispositivo finale.

Ogni giorno vengono implementate nuove applicazioni, dall’interfaccia per una sedia semovente per disabili agli inevitabili sfruttamenti militari, ma sempre più ci mettono di fronte a importanti problemi etici.

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La ricerca SETI non può ignorare le intelligenze artificiali

Lo screensaver del SETI@Home. Puoi averlo anche sul tuo computer!

SETI, è l’acronimo per Search for Extra-Terrestrial Intelligence (Ricerca di Intelligenza Extraterrestre), ed è il nome collettivo che descrive un certo numero di attività rivolte alla ricerca di segnali provenienti dallo spazio. Naturalmente non si cercano segnali qualunque, ma gli algoritmi analitici selezionano solo quelli  che potrebbero essere sintomatici di qualche intelligenza extraterrestre e la ricerca viene condotta rigorosamente tramite l’applicazione del metodo scientifico.  Tuttavia finora, come recita anche la definizione di Wikipedia in lingua italiana, il programma si è dedicato alla ricerca della vita intelligente extraterrestre, e secondo Seth Shostak potrebbe essere un sistema troppo riduttivo.

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Verso il replicatore: la stampante dei cibi digitali

Il replicatore, un gadget ipertecnologico ben noto a tutti i fan di Star Trek e ritenuto per anni un prodigioso sogno decisamente lontano dall’essere realizzabile, ha già compiuto i suoi primi passi in questo universo, anche se il resto del percorso è ancora lungo e tortuoso.

Il replicatore della Voyager. Imagecredit: Paramount (via Memory Alpha)

Un approccio futuristico che per ora è stato impiegato solo nel campo delle nanotecnologie, promette di replicare oggetti di modeste dimensioni, con applicazioni anche per le missioni spaziali. Si tratta di una vera e propria stampante tridimensionale ed è stata battezzata Electron Beam Freeform Fabrication (EBF3), un dispositivo che grazie ad un fascio di elettroni modella un materiale grezzo creando la forma desiderata, una parte meccanica, un ricambio o un utensile, con costi irrisori e soprattutto in tempi brevi.

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La memoria delle piante e chimiche fito-cognitive

Fino a qualche anno fa anche negli animali era tabù parlare di intelligenza, ma oggi non è più così, oltre all’istinto c’è di più. Penso che l’intelligenza sia una proprietà biologica, una proprietà della vita stessa, che si è adattata differenziandosi ed evolvendosi in modi distinti secondo precise esigenze biologiche.

In sintesi, non esistono esseri viventi privi di una forma di intelligenza, e il regno vegetale non fa eccezione, sebbene sia comprensibile quanto può essere difficile  accettarlo senza porsi qualche interrogativo esistenziale.

Intelligenza del cavolo! Molti studi vengono condotti su piante come l'Arabidopsis thaliana, appartenente alla stessa famiglia del cavolo comune, e utilizzata come "organismo modello". Imagecredit: Wikimedia Commons

Il ruolo della chimica infatti non è relegato solo alle esigenze energetiche e riproduttive della vita vegetale, ma come per il regno animale, vi sono numerosi segnali di attività cognitive.

Le piante di pomodoro comunicano con quelle della propria specie anche a chilometri di distanza. I messaggi sono veicolati da sostanze chimiche e i contenuti sono, per esempio, “attenzione, attacco d’insetti”, ma si può trattare anche di dati sugli stati nutrizionali del terreno: “Da questa parte c’è acqua!”. Le piante sono territoriali e, non potendo spostarsi, difendono la loro area vitale con i “denti”. Quando una pianta entra con le radici nello spazio vitale della pianta di un’altra specie, vengono emessi segnali di avvertimento. Se vengono ignorati, allora si scatena una guerra chimica, con emissione di sostanze mortali per le radici dell’antagonista.

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Il libro è morto, viva il libro!

Navigando per il web, mi è capitato un bellissimo post, che vi ripropongo. L’argomento sviscera la possibilità della fine imminente della produzione di carta stampata, i libri e qualsiasi prodotto editoriale, così come lo conosciamo oggi, non sono mai stati così in pericolo, sempre più minacciati dal diffondersi della stupidità propagata dai media e dall’inedia delle nostre menti che presto non saranno più nemmeno in grado di cavalcare l’immaginazione e la creatività. Oppure no?

Questo ci attende, e quanto segue è solo un segno dei nostri tempi:

questa è la fine della carta stampata
e
i libri sono defunti e noiosi
non si può più dire che
adoriamo leggere
io e i miei amici
non gradiamo il modo in cui sentiamo i libri nelle nostre mani
non è vero che
non seguo le mode
so quello che voglio quando lo vedo e
qualsiasi involucro
è più importante di
ogni contenuto
devo proprio dirti che
il mio livello di attenzione è troppo piccolo per le grandi idee
e non è proprio vero che
leggo tantissimo e mi piace imparare
non mi interessa
e non dovresti mai pensare che
mi preoccupa l’ambiente e la sostenibilità
quello che spero davvero è che
tu apra gli occhi sui miei valori
quello che per me è importante è che
cosa indossa Lady Gaga
e non mi interessa più di tanto
quel che fece Gandhi il secolo scorso
penso che sia incredibile
che tu adesso mi stia leggendo
quello che è più importante per te è
che troverai in ogni caso
clienti
per i tuoi
prodotti
tu penserai che
il tuo lavoro è finito
se ci piace il tuo marchio
lo abbiamo creato per te
su Facebook
sul cellulare
il sottoscritto e i miei amici
il tuo mercato è li per
morire
non pensare che tutto possa
sopravvivere …

it’s the end of the publishing industry as we know it …
… a meno che tu non lo rilegga al contrario!!! (riga per riga)
Questa simpatica “promozione” bifronte quasi palindroma è stata tradotta e adattata dal seguente video:

(video creato da Dorling Kindersley Books)

Non nego che in inglese renda molto di più, tuttavia mi sono divertito a tradurla. Nel post in cui l’ho trovata, era presente anche un altro video molto bello, che spero possiate gradire. Una sequenza animata basata su Going West, un romanzo di Maurice Gee del 1993, che fa sperimentare una suggestiva lettura vivente.

(video creato da New Zealand Book Council)

Ci sono crimini peggiori del bruciare libri. Uno di questi è non leggerli.

Josif Brodski

Fonte: HT: Scholarly Kitchen, fisheye perspective

Geoingegneria: le soluzioni pericolose contro il global warming

Un'immagine artistica dell'imbarcazione che genera le nuvole

Il nostro pianeta ha la febbre? Perché non rimediare spegnendo il sole? A mali estremi il rimedio potrebbe però essere peggiore del male, soprattutto quando si tratta di verificare ipotesi che per ora sono solo schizzi abbozzati sulla carta, e lasciano numerosi interrogativi insoluti.

Tra le proposte più accreditate (da chi?), vi è quella di creare nuvole bianche artificiali al di sopra degli oceani, in modo da riflettere gran parte della luce solare e intervenendo direttamente su una delle fonti del surriscaldamento globale, l’effetto delle radiazioni solari.

La geoingegneria, ovvero l’applicazione delle pratiche ingegneristiche alle scienze geologiche, prevede che iniettando acqua salmastra nebulizzata nell’atmosfera, favorisca la formazione di nuvole, ed è una proposta venuta già alla ribalta una decina di anni fa, e prontamente liquidata come una bizzarra fantasia. Adesso ci risiamo, complice il fallimento del controllo delle emissioni a breve termine.

Alcuni scienziati tuttavia ci mettono in guardia, sostenendo che questo sistema potrebbe interferire con il naturale processo di formazione delle nuvole, soprattutto nelle zone costiere a causa della presenza di numerose particelle inquinanti, e l’effetto risultante potrebbe essere completamente inefficace o addirittura produrre l’effetto contrario, un inutile e costoso dispendio di risorse.

Secondo i modelli calcolati dal Professor Ken Carslaw della Università di Leeds, sarebbe necessaria la creazione di uno strato perfettamente uniforme di questo aerosol salino che andrebbe prodotto su larga scala. In alcuni punti, le particelle di spray artificiale potrebbero ostacolare la naturale  formazione delle gocce, ottenendo l’effetto  opposto a quello previsto. In pratica, generare una copertura uniforme di nubi riflettenti con superfici  maggiori a quelle degli oceani  terrestri sarebbe estremamente impegnativo, e i risultati non sono affatto garantiti.

Un’altra idea è quella di emettere particelle sulfuree nell’alta atmosfera per riflettere   la luce solare verso lo spazio, una specie di vulcano artificiale. Si tratterebbe di simulare quello che accade in un eruzione vulcanica, quando le particelle di aerosol emesse  filtrano la luce del sole e   causano un limitato raffreddamento globale. I solfati si disperderebbero entro un paio   di anni, ma ancora una volta questa “soluzione” non prevede l’alterazione dell’acidità degli oceani,  e poco si sa sugli effetti  potenziali dell’acidità degli aerosol a base di solfati.

L’idea di creare una superficie riflettente enorme tra la terra e il sole con giganteschi specchi spaziali,  che potrebbero  essere modificati per interferire con la radiazione solare in arrivo, è stata anche presa in considerazione. Oltre alle immense difficoltà tecniche, le implicazioni politiche di chi controllerà questa tecnologia, suscitano problematici e inquietanti interrogativi.

In alternativa si è pensato di emulare gli alberi convertendo l’anidride carbonica in sostanze solide contenenti carbonio, e attualmente  viene ritenuta la miglior freccia nell’arco dei propositori. Tuttavia ancora nessuno è stato in grado di farlo in maniera più efficace dei vegetali, e la domanda viene spontanea: perché non si piantano semplicemente più foreste, lasciando la fantascienza a intrattenerci nei cinema?

Fonte: Indipendent

Ecco l’automobile vegetale!

Sarebbe una meravigliosa rivoluzione che cambierebbe per sempre tutte le logiche relative alle lotte contro l’inquinamento e le supremazie delle lobby energetiche. Per questo forse non vedremo mai realizzarsi il sogno utopistico di qualsiasi ambientalista: un’automobile che trae l’energia consumando anidride carbonica e tramite una fotosintesi tecnologica emette ossigeno come una vera pianta.

Si chiama YeZ, una concept car biposto che è stata presentata recentemente allo Shanghai Expo 2010 dalla Shanghai Automotive Industry Corporation (SAIC), in collaborazione con General Motors e Volkswagen.

La YeZ (si pronuncia yea-zi e significa “foglia” in mandarino), ricava la sua energia grazie a pannelli solari di ultima generazione che ricoprono il tettuccio, oltre a convertire i flussi di aria in movimento tramite mini-turbine eoliche istallate sulle ruote. A queste due fonti inoltre si aggiunge l’adsorbimento e la conversione della CO2 atmosferica che viene processata attraverso il materiale che compone la sua carrozzeria, avente una struttura molecolare organometallica.

Attraverso il mix di tecnologie di cui è dotata, l’energia prodotta viene accumulata in speciali batterie a ioni di litio, e dosata in base alle necessità. Secondo il costruttore, la YeZ sarà operativa anche con il cielo coperto e vanterà l’ambito traguardo di rendere obsoleta l’attuale classificazione delle automobili in base alle emissioni, posizionandosi nella parte negativa della scala, ovvero inferiore allo zero!

Purtroppo, a quanto si dice, questo sogno impiegherà almeno 20 anni prima di realizzarsi.

Fonte: cnet.news

Skynet? One step closer! (La via dei terminator…)

Difficile prevedere se le nuove tecnologie che bollono in pentola verranno usate a fin di bene, in un timido virgulto di ravvedimento del genere umano, ormai agonizzante nella propria estasi da globalizzazione economico-militare, oppure, evitando accuratamente di smentire se stessa, la nostra civiltà sia in procinto di costruire le pareti del proprio baratro.

Darei comunque il beneficio del dubbio, evitando di fare (facili) processi alle intenzioni, anche se il programma di cui vi sto per accennare è una recente creatura della DARPA.

Diversi team universitari statunitensi, distaccati nelle facoltà di Harvard, Cornell e MIT, sono occupati su diversi fronti per la creazione della cosiddetta “materia programmabile“, un materiale composto da un certo numero di unità individuali, con la capacità di auto-assemblarsi a comando per formare l’oggetto tridimensionale desiderato. Ad esempio, uno dei primi prototipi, passa dalla forma di una chiave inglese, si “decompone” e si ricompone per riprodurre un martello in pochi istanti.

L’accostamento con i monomeri delle macromolecole biologiche non è esagerato, anche se la ricerca è ai suoi primi passi. Secondo il dottor Mitchell R. Zakin, i materiali, i sistemi di comunicazione e i computer, saranno sempre meno distinguibili. Infatti le ricerche spaziano tra diverse discipline, come l’informatica, robotica, biologia, chimica, fisica e sono stati coinvolti perfino alcuni artisti! I team coinvolti sono così orientati:

  • un gruppo si occupa dello sviluppo di oggetti bidimensionali che si “ripiegano” in forme 3D, una specie di origami auto-pieganti grazie agli speciali attuatori che li animano.
  • Ad Harvard, invece è allo studio un programma informatico per la manipolazione di molecole di DNA, che guida le interazioni dei legami nelle lunghe catene elicoidali, qualcosa di ancora inesplorato.
  • Un altra squadra ha scoperto un sistema per trasformare quelle stesse catene di codice genetico in una specie di “velcro molecolare”, in grado di ricoprire e mantenere due oggetti in una specie di intimo contatto per assemblarne uno più complesso, ad esempio un utensile. Dopo l’uso, si può tranquillamente ordinare di smontarsi da solo (e magari di riporsi nella sua custodia?).
  • L’ultimo gruppo approccia il metodo con cui le proteine compongono le macromolecole negli organismi viventi per riprodurre le stesse proprietà macroscopicamente, tramite un linguaggio di programmazione che permette ad ogni componente del materiale da elaborare le singole informazioni.

A metà strada fra un Terminator T-1000 e un Transformer, le nuove frontiere dei materiali programmabili e a memoria di forma prospettano incredibili applicazioni: mutaforma intelligenti, flessibili, indistruttibili, inossidabili, adattabili, mimetici, immuni, infaticabili. La nostra perfetta nemesi, insomma, oppure un altro miracolo della scienza? Fate spazio ai posteri…

Fonti:

The Daily Galaxy

Programma DARPA

Stephen Hawking e l’alieno quantico

Stephen Hawking insieme a Data, Einstein e Newton sul set di Star Trek

Stephen Hawking, il famoso astrofisico britannico,  ha recentemente esternato la sua preoccupazione per il pericolo che il nostro incontro con esseri alieni potrebbe rappresentare.  A suo avviso, è probabile che si verifichi  una replica fedele di ciò che accadde alla fine del XV secolo dopo che Colombo sbarcò sulle terre del Nuovo Mondo, le Americhe.

Il dottor Steven Hawking dall’alto della sua reputazione, e non per altri motivi come qualcuno ha chiosato, può permettersi di avanzare qualunque ipotesi e teoria, e devo ammettere che ammiro il suo coraggio per riuscire a trattare argomenti tanto popolari, quanto controversi e insidiosi.

Il suo ultimo prodotto televisivo, Into The Universe with Stephen Hawking, il documentario da lui stesso scritto e interpretato per Discovery Channel, è giunto al suo terzo episodio. Il primo, quello che ha suscitato più clamore, era un monito sugli incontri con extraterrestri, in cui noi giocheremo la parte degli indigeni inermi da sfruttare e dominare con facilità.

Il secondo episodio, dal titolo Time Travel: “Is Time Travel Possible?”, disquisisce con chiarezza cristallina di come il viaggio nel tempo sia effettivamente praticabile, almeno a livello teorico. Sarebbe infatti sufficiente viaggiare a velocità prossime a quella della luce per alterare la nostra linea temporale, e trovarci proiettati nel futuro una volta tornati  a casa. L’unico inconveniente è che sarà possibile viaggiare in una sola direzione, i viaggi indietro nel tempo non sono contemplati, purtroppo per il futuro esiste solo un biglietto di sola andata.

Tornando alle ipotetiche presenze ostili, Randy D. Allen, ricercatore del Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare, Oklahoma State University, si domanda invece se la vita extraterrestre sia sempre basata sulla biochimica, come noi la conosciamo, oppure è possibile che esistano principi completamente diversi che la regolino, chiamando in causa anche la meccanica quantistica.

Immaginate forme di vita che possano manipolare le particelle subatomiche, come noi interveniamo sui componenti biochimici delle nostre cellule. Gli esseri umani sono esistiti come specie per meno di un milione di anni e noi siamo, per quanto sappiamo, l’unica specie sulla Terra che ha anche una vaga idea della principali nozioni di fisica. Abbiamo appena scoperto l’atomo e imparato presto a diffondere la sua forza nel secolo scorso. La nostra comprensione della meccanica quantistica è rudimentale, nella migliore delle ipotesi, ma siamo sul punto di sviluppo di computer quantistici che promettono una potenza di calcolo virtualmente illimitata. E’ possibile che in miliardi di anni dal Big Bang, altri organismi si siano evoluti in un dato luogo e periodo temporale, e che siano già in grado di padroneggiare la meccanica quantistica.

La loro curiosità insaziabile sull’universo (o, come noi, il loro desiderio inestinguibile di sfruttarlo), li ha portati a sviluppare computer quantistici di potenze inconcepibili. Si resero conto che con questi computer, tutta la loro esistenza poteva essere “informatizzata”, tutte le memorie e le esperienze di vita, tutte le emozioni e le motivazioni, tutto potrebbe essere trasferito in un  “cervello quantico collettivo”. In questo modo si varcherebbe un accesso evolutivo in cui  la loro “specie”, anche se biologicamente estinta, potrebbe diventare effettivamente immortale. Si potrebbe così fare a meno di un metabolismo inefficiente che richiede enormi input di energia, gli esseri risultanti non sarebbero soggetti a usura e invecchiamento, ma anche nessuna riproduzione, né morte, e nemmeno più tasse, ironizza il professore.

Non so dove ho già sentito questa storia …

Di fatto si avrebbe a che fare con una coscienza collettiva parallela con possibilità illimitate. Forse, attraverso la supersimmetria o l’entanglement, potranno “vedere” o “sentire” l’intero universo. Forse, avranno acquisito la capacità di manipolare le particelle elementari e saranno in grado di controllare la propria evoluzione e il loro stesso destino. Praticamente, dal nostro punto di vista, dei.

La possibilità di evolvere in una coscienza quantica, naturalmente, dipende da numerose variabili, e richiede che la  civiltà in questione non venga sterminata dal primo impatto con un asteroide, o dagli influssi di una supernova vicina, o da gigantesche eruzioni vulcaniche, o ancora che non venga decimata da una guerra globale per la scarsità di risorse, esacerbata dai cambiamenti climatici.

Infine vi è la possibilità che si potrebbe semplicemente perdere l’impulso scientifico attraverso la perdita di sostegno politico alla ricerca di base e lasciare che la nostra occasione per l’immortalità svanisca come neve al sole, ma non è il nostro caso. Per fortuna.

Fonti:

Journal of Cosmology

DailyGalaxy