Finalmente la NASA ha ammesso di aver raccolto incontestabili prove dell’esistenza di microorganismi alieni terrestri che riescono a metabolizzare anche l’arsenico!
Ecco la notizi(ol)a che avrà deluso intere schiere di esobiologi in erba e non solo. E giù di nuovo a sentenziare inverosimili ipotesi di complotti per occultare le prove e insabbiamenti Roswell-style ad esclusivo impiego di chi frigge la solita aria. Tuttavia la ‘scoperta’ è in ogni caso degna di essere approfondita e va giustamente evidenziata, anche con questi metodi che ne esaltano una certa spettacolarità. In fondo la scienza va divulgata con ogni mezzo possibile, e ben vengano questi metodi che rompono gli schemi usuali del comunicato stampa arido, impersonale e monocorde dedicato ad un pubblico di soli addetti. Ma cosa c’è di veramente nuovo, cosa sfugge allo spettatore medio, cosa si nasconde nelle verità nei dettagli che i media generalisti non ci dicono, o non sanno dirci?
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Marte: progetti di colonizzazione in corso
Ecopoiesi è un neologismo che deriva dal greco (οικος, casa e ποιησις, produzione) e si riferisce al processo che origina un ecosistema.
Robert Haynes coniò questo termine agli inizi degli anni ’90 iniziando il dibattito sul terraforming dei pianeti extraterrestri. L’ecopoiesi è una sorta di ingegneria planetaria che prepara il terreno, un primo stadio della terraformazione vera e propria, in cui si sfruttano eserciti microscopici, estremisti ambientali e straordinari genieri che si occupano di creare le condizioni primordiali per una successiva sostenibilità delle forme di vita superiori.
Da allora, non sono stati fatti grandissimi passi avanti, se non sul piano teorico, ma almeno si è arrivati ad una conclusione poco discutibile: i cianobatteri, gli antichi microorganismi fotosintetici che contribuirono a rendere la Terra abitabile 2,5 miliardi di anni fa, colonizzando praticamente ogni più piccolo anfratto del nostro pianeta, possono fare la differenza.
Una fuel cell per la ricerca della vita extraterrestre
Come impostereste un test per la ricerca di forme di vita, in dotazione a una sonda spaziale destinata a missioni di ricognizione e osservazione su altri pianeti?
Sembra davvero un problema piuttosto complesso. Negli anni ’70, le sonde Viking della NASA effettuarono tre esperimenti sulla superficie di Marte specificamente progettati per cercare la vita.
Con lo stupore di tutti, questi esperimenti si conclusero con risultati positivi. Ma l’entusiasmo si spense improvvisamente quando gli scienziati compresero che gli esiti dei test non erano stati causati da forme di vita, ma dalla presenza di un ambiente fortemente ossidante. Pertanto questi risultati erano solo un falso positivo (anche se non tutti si trovarono d’accordo su questo aspetto).
Da allora, nessun altra sonda ha effettuato ulteriori test per scoprire la vita direttamente, ma l’attenzione si è rivolta verso la raccolta di elementi che siano una prova rivelatrice della presenza di esseri viventi.
Ximena Abrevaya e i suoi colleghi dell’Università di Buenos Aires in Argentina suggeriscono una nuova soluzione a questo problema. Dicono che una cella a combustibile microbico sarebbe in grado di rilevare la vita in modo del tutto indipendente dalla composizione chimica. L’ipotesi sine qua non è basata sul fatto che la forma di vita in questione deve assumere energia chimica dall’ambiente e usarlo per alimentare il proprio processo vitale, in altre parole deve avere almeno un processo metabolico.
La squadra di Abrevaya ha messo a punto e testato proprio una cella di questo tipo. Il dispositivo consiste in un anodo e un catodo separati da una membrana permeabile ai protoni. L’anodo è incorporato nel supporto a contatto con l’oggetto dell’indagine, come ad es. il suolo marziano.
L’idea è che i processi metabolici, ovunque essi si siano evoluti, devono dipendere da reazioni di ossido-riduzione (redox) che generano flussi di elettroni e protoni. L’anodo della pila a combustibile cattura gli elettroni generati in questo processo, mentre i protoni passano attraverso la membrana, completando così il circuito. Quindi la quantità di corrente che scorre è un indicatore diretto della quantità di vita presente.
I primi test sono stati svolti determinando la presenza dei principali tipi di vita microscopica: batteri, archaea e cellule di eucarioti. Il team afferma di aver ottenuto risultati incoraggianti, come alcune rilevazioni positive su estremofili (Natrialba magadii, un microorganismo isolato dal lago Magadii Lake in Kenya che sopravvive in condizioni di elevate concentrazioni saline), come quelli che potrebbero esistere altrove nel sistema solare. Le densità di corrente rilevate sono state di gran lunga superiori quando il dispositivo analizzava campioni vitali, rispetto a quelli sterili.
Il dispositivo pertanto si presterebbe come candidato per i prossimi test sull’esobiologia, caricato su un lander potrebbe facilmente prelevare due campioni di suolo, sterilizzarne uno con il calore, e confrontare i due risultati per accertare la presenza della vita.
Ma ciò che più sorprende è che il sistema non necessita di rilevare forme di vita basate esclusivamente sul carbonio. Purtroppo i dettagli di questo aspetto non sono stati approfonditi, probabilmente a causa del fatto che esiste ancora qualche possibilità di ottenere falsi positivi e occorre perfezionare ancora alcuni aspetti del sistema di rilevamento.
Nel frattempo, si potrebbe cercare di ipotizzare, in base alle analisi delle atmosfere extraterrestri, quali siano i migliori candidati per i prossimi test. E’ noto che milioni di anni di azione microbiotica, altera in maniera considerevole la composizione atmosferica. La presenza di ossigeno e metano nella nostra atmosfera è un chiaro segnale dello sviluppo biologico. Purtroppo l’analisi dell’atmosfera di Marte, composta dal 95% di anidride carbonica, è una deludente conferma che invece bisogna rivolgersi altrove.
Che ne dite di Titano o Encelado, due fra i più noti ospiti potenziali di strane, nuove forme di vita aliene?
Fonti: technologyreview, arxviv
I batteri del metano di Marte

Distribuzione del metano nell'atmosfera di Marte durante il periodo "estivo" nel suo emisfero settentrionale
Sembra che ulteriori indizi favoriscano le ipotesi recenti della presenza di una fervida vita microscopica nelle ridenti valli marziane, alimentata dagli squilibri produttivi del metano, che pongono ancora interessanti interrogativi.
Marte possiede un’atmosfera estremamente rarefatta, composta per oltre il 95% da CO2, il resto comprende azoto (2,7%), argo (1,6%) e tracce importanti di ossigeno, CO, vapore acqueo, NO, ozono e altri gas nobili. Dagli ultimi rilievi del 2004 effettuati dalla sonda europea Mars Express, è stata confermata anche la presenza di metano (CH4) in quantità non trascurabili che si aggirano intorno alle 10 parti per miliardo (10,5 ppb). Per confronto, nell’atmosfera della Terra di metano ne misuriamo più di 100 volte tanto (1790 ppb).
L’aspetto intrigante risiede nel fatto che il metano, essendo un gas instabile a causa della sua elevata reattività, implica la presenza di una fonte attiva per esistere, e anche la sua degradazione fotochimica, secondo i modelli teorici, non giustifica questa presenza. Non è giustificabile nemmeno a causa dell’assenza di attività vulcanica e idrotermale sulla superficie.
Il metano su Marte viene prodotto da estese sorgenti, ed i profili implicano che viene rilasciato almeno da tre distinte regioni. In piena estate boreale, la fonte principale emette 19.000 tonnellate di metano in media, con un flusso di 0,6 kg al secondo. A questo ritmo si stima che il pianeta rosso debba produrre circa 270 tonnellate di metano all’anno.
Sebbene la presenza di questo gas potrebbe essere ascrivibile ad un’origine minerale, come sottoprodotto della reazione fra acqua, anidride carbonica e l’olivina, un minerale siliceo presente in quantità sulla superficie di Marte, per confermarlo bisognerebbe determinare la presenza della serpentinite, il prodotto solido della reazione citata. Esiste inoltre la remota possibilità che il metano si formi dalla decomposizione di giacimenti di clatrati idrati, una specie di ‘soluzione’ solida tra metano (e altri gas) e acqua.
L’ipotesi più affascinante però, si avvale della scoperta che la presenza di metano è sempre associata a quella di vapore acqueo, soprattutto in alcune regioni equatoriali. Il planetologo H. Grinspoon (Southwest Research Institute) pensa che questa coincidenza aumenti le probabilità di un origine biologica.

Lost Hammer Spring presso l'isola Axel Heiberg, territorio di Nunavut, Canada. (Credit: Dept. Natural Resource Sciences, McGill University, Montreal.)
Un’ulteriore conferma di queste teorie biogeniche sembra che arrivi proprio in questi giorni, proveniente nientemeno che dai ricercatori del dipartimento delle risorse naturale della McGill University, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche del Canada, dall’Università di Toronto e dal SETI Institute, i quali hanno scoperto la presenza di alcuni batteri metanotrofi (il cui metabolismo consiste in un ciclo ‘alimentare’ a base di metano, contrapposti ai batteri metanogeni), nell’ambiente estremo di un isola a nord del Canada, Axel Heiberg Island.
Il dottor Lyle Whyte, un microbiologo dell’Università di McGill, spiega che la sorgente di Lost Hammer può sostenere la vita batterica in un ambiente anaerobico, e che è molto simile a sorgenti presenti con tutta probabilità anche su Marte, suggerendone una popolazione microbica analoga.
“Il punto della ricerca è che non importa da dove il metano provenga” spiega Whyte. Se in una situazione in cui si dispone di acqua salata molto fredda (anche fino a -50°C!), prolifera una comunità microbica, anche in ambienti senza ossigeno, è lecito ipotizzare lo stesso anche su altri pianeti con condizioni ambientali simili.
Un quesito che rimarrà insoluto ancora per un po’, almeno fino a quando il Mars Science Laboratory (MSL), chiamato anche Curiosity, un rover della NASA che verrà lanciato nell’autunno del 2011 ed effettuerà un atterraggio di precisione su Marte nei primi mesi del 2012, misurerà con il metodo del C14 il metano presente, determinandone l’origine, biologica o meno.
La NASA inoltre ha rivelato l’ambizioso obiettivo di lanciare la missione Mars Orbiter Trace Gas nel 2016, per studiare ulteriormente il metano, nonché i suoi prodotti di decomposizione, come la formaldeide e metanolo.
Con la speranza che un giorno si riesca a colonizzare anche le sterminate sorgenti marziane, sfruttando impietosamente la popolazione autoctona di batteri indigeni come novelli e futuri microscopici schiavi … Mi auguro che non abbiano una coscienza collettiva proto-comunista da sedare!!!
Fonte: ScienceDaily
Vitalità estrema
Un lago di catrame e asfalto, miasmi venefici, temperature che oscillano da 32 a 56 °C, grandi bolle di metano che sfiorano dalla superficie liquida grigiastra, queste sono le caratteristiche di Pitch Lake, uno dei più vasti depositi naturali di bitume del mondo situato nell’isola caraibica di Trinidad.
Ebbene, oltre a questo audace e improbabile ciuffetto di erba che sfida l’asfalto solido sulle “rive del lago”, alcuni ricercatori hanno scoperto che il lago è popolato da una specie di batteri estremofili dell’ordine dei Thermoplasmatales che proliferano ad un tasso vertiginoso, al punto che ogni grammo di sostanza appiccicosa contiene fino a 100.000.000 di cellule microscopiche vitali. Sembra che il metabolismo di questi microorganismi si basi sull’assimilazione degli idrocarburi e possono fare completamente a meno di ossigeno e acqua per sopravvivere.
Questo giacimento minerale probabilmente rappresenta una replica di quanto si potrebbe trovare sulla superficie di Titano, il maggiore dei satelliti di Saturno, se trascuriamo il fatto che la temperatura stimata si aggira intorno ai – 180 °C, e la scoperta di questi incredibili residenti rappresenta un punto cruciale nella comprensione di sistemi vitali basati su condizioni così aliene.
Una scoperta straordinaria che necessita sicuramente di ulteriori interessanti approfondimenti.
Fonte: arXiv:1004.2047v1 [q-bio.GN]