Sull’estetica delle molecole, ovvero può una molecola essere sexy?

lovelychemistryLa bellezza è una caratteristica che fornisce un’esperienza percettiva di piacere e soddisfazione, indipendentemente dal tipo di oggetto a cui viene attribuita, ma a esclusiva discrezione dell’osservatore. La bellezza ideale è un’entità degna di ammirazione, oppure possiede caratteristiche condivisibili che tendono alla perfezione. Ma cosa rende bella una molecola? Possiamo solo ridurci ad una mera semplicità come una struttura perfettamente simmetrica, oppure potrebbe essere coinvolta una complessità estrema, come la ricchezza di dettagli strutturali necessari ad una specifica funzione?

Talvolta la bellezza di una molecola può essere palese, come nel caso evidente del fullerene, o ancora meglio del kekulene, ma in altri casi è nascosta, camuffata per essere rivelata alla giusta occasione o all’osservatore più attento. Anche la novità, la sorpresa o l’inaspettata utilità possono giocare un ruolo nell’estetica molecolare, come avremo modo di esplorare solo continuando a leggere.

Nei testi scientifici non è facile trovare esempi di affermazioni imprudenti del tipo “quella bellissima molecola sintetizzata dal gruppo di ricercatori…” o “il fascino della struttura molecolare risiede nella coordinazione dei legami …”, dove il descrittore emozionale sarebbe inutile oltre che probabilmente del tutto soggettivo e inopportuni. Per questo motivo i giudizi estetici nella chimica acquisiscono una dimensione decisamente popolare, quasi folk, per una sottocultura formata da chimici che tentano di esplorare razionalmente gli attributi della bellezza applicata alla propria mercé. Una ricerca che potrebbe ricalcare perfino antichi rituali e costumi tribali nell’intento di disseppellire ciò che il significato della bellezza in chimica assume nell’improbabile natura di un’indagine antropologica.

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La sostanza tra chimica e filosofia, una sintesi impertinente

La forma della sostanza ... P! (source: Wikipedia)

Molti dei concetti analizzati dalla filosofia affondano le loro origini nel linguaggio ordinario. Percezione, conoscenza, causalità e mente sono solo alcuni esempi, ma il concetto di sostanza essenzialmente è un termine che la filosofia associa all’arte. Il suo utilizzo nel linguaggio ordinario tende a provenire, spesso anche in maniera distorta, dal senso filosofico. Espressioni come una “persona di sostanza” o una “ragione sostanziale”, vanno intese in tal senso, mentre “sostanza illegale” ad esempio è più affine ad un uso strettamente filosofico, anche se non è il più importante.

Qui entra in gioco il concetto più ordinario di “oggetto” o “cosa”, quando è possibile contraddistinguerlo da eventi o proprietà associabili. Tuttavia, al di fuori del ristretto ambito filosofico, il termine “sostanza” non viene quasi mai impiegato, se non per indicazioni di tipo generale e imprecisato, favorendo sinonimi più precisi o specialistici. Si potrebbe dire che esistono due modi molto diversi per caratterizzare il concetto filosofico di sostanza. Il primo, più generico, identifica “sostanza” con una corrispondenza al greco ousia, che significa ‘essenza’, poi trasmessa attraverso il latino substantia e traducibile con “ciò che sta sotto”. Pertanto, nel senso comune le sostanze in un dato sistema filosofico sono quelle cose che, secondo tale sistema, rappresentano i fondamenti o le entità fondamentali della realtà.

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Ed è  così che per un atomista, come potevano esserlo Democrito o Leucippo, nelle rispettive essenziali sfumature, le sostanze sono nient’altro che atomi, elementi basilari di  cui ogni cosa è composta, mentre nel sistema critico di David Hume, un eminente filosofo del ‘700, la sostanza era solo una “collezione di qualità particolari” ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall’esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un’idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l’impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo, idee e impressioni quindi per spiegare la materia.

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