Sulla discriminazione tra semimetallo e metalloide (i precari della tavola periodica)

Se c’è una cosa che proprio mi lascia l’amaro in bocca, è quella sensazione di incompletezza che aleggia intorno ad un lavoro incompiuto, come dire a un muratore di costruire un muro e poi abbandonarlo a se stesso, ignorando perfino se il muro sia stato effettivamente costruito oppure no. Quella stessa sensazione che si prova scorrendo le moltitudini di bozze inevase che albergano nei nostri buoni propositi, ma che per un motivo o per l’altro, faticano ad emergere e rimangono li, per una virtuale eternità. Detesto anche le imprecisioni, gli errori grossolani, le incomprensioni dovute ad accordi troppo convenzionali e troppo poco rigorosi o incisivi, al punto da diventare puntiglioso per ogni piccolezza, di quelli che spigolano sui decimali e si accorgono delle sviste con un colpo d’occhio, ma non finiscono mai di correggere le proprie bozze e tantomeno sono capaci di terminarle per davvero, vittime del loro stesso pignolo ed esagerato perfezionismo che si rivela inconcludente più volte del previsto, quando non proprio deleterio.

Per questi motivi quando scopro che nel 2012 esiste ancora una controversia irrisolta che latita indisturbata da almeno 30 anni, in merito alla nomenclatura di uno dei tre gruppi principali in cui si possono suddividere gli elementi chimici secondo le loro proprietà, allora decido di scrivere quella fatidica bozza. Se adesso la state leggendo significa che sono riuscito a sconfiggere il ‘perfettino’ che alberga nel mio subconscio, ma vuole anche dire che vi beccate qualche imprecisione, e di ciò chiedo venia in anticipo.  🙂

Immagino che nessuno batta ciglio se parlo di metalli; chiunque, chimici e non, sanno di cosa sto cianciando. Certo i chimici magari sapranno qualcosa in più, tipo il comune aspetto di un solido che riflette la luce in un certo modo mentre conduce calore ed elettricità oltre ad altri dettagli che vado a tralasciare. Se chiedo cosa sono i non metalli, mi aspetto qualche secondo per una formale pausa di riflessione dopo di che l’intuito deduttivo prende il sopravvento e risponde (ovviamente): “tutto ciò che non è metallico!” Tralasciamo anche qui inutili dettagli e passiamo subito al terzo gruppo. Domanda: “non sono metalli e nemmeno non metalli. Cosa sono?”

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La sostanza tra chimica e filosofia, una sintesi impertinente

La forma della sostanza ... P! (source: Wikipedia)

Molti dei concetti analizzati dalla filosofia affondano le loro origini nel linguaggio ordinario. Percezione, conoscenza, causalità e mente sono solo alcuni esempi, ma il concetto di sostanza essenzialmente è un termine che la filosofia associa all’arte. Il suo utilizzo nel linguaggio ordinario tende a provenire, spesso anche in maniera distorta, dal senso filosofico. Espressioni come una “persona di sostanza” o una “ragione sostanziale”, vanno intese in tal senso, mentre “sostanza illegale” ad esempio è più affine ad un uso strettamente filosofico, anche se non è il più importante.

Qui entra in gioco il concetto più ordinario di “oggetto” o “cosa”, quando è possibile contraddistinguerlo da eventi o proprietà associabili. Tuttavia, al di fuori del ristretto ambito filosofico, il termine “sostanza” non viene quasi mai impiegato, se non per indicazioni di tipo generale e imprecisato, favorendo sinonimi più precisi o specialistici. Si potrebbe dire che esistono due modi molto diversi per caratterizzare il concetto filosofico di sostanza. Il primo, più generico, identifica “sostanza” con una corrispondenza al greco ousia, che significa ‘essenza’, poi trasmessa attraverso il latino substantia e traducibile con “ciò che sta sotto”. Pertanto, nel senso comune le sostanze in un dato sistema filosofico sono quelle cose che, secondo tale sistema, rappresentano i fondamenti o le entità fondamentali della realtà.

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Ed è  così che per un atomista, come potevano esserlo Democrito o Leucippo, nelle rispettive essenziali sfumature, le sostanze sono nient’altro che atomi, elementi basilari di  cui ogni cosa è composta, mentre nel sistema critico di David Hume, un eminente filosofo del ‘700, la sostanza era solo una “collezione di qualità particolari” ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall’esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un’idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l’impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo, idee e impressioni quindi per spiegare la materia.

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