La preparazione dello ioduro di potassio

Microcristalli di ioduro di potassio in formazione. (copyleft by Gifh)

Sembrerebbe che uno degli effetti secondari della crisi nucleare giapponese a livello mondiale sia quello di aver catalizzato l’attenzione sull’unico composto chimico in grado di contrastare uno dei principali rischi dell’inquinamento radioattivo: lo ioduro di potassio. Una tendenza che rilevo anche dalle numerose ricerche dei navigatori che approdano in questo blog, le quali decretano “Pillole gratis contro le radiazioni” come uno dei miei articoli più letti di queste ultime settimane.

Immagino che questa “fame” di informazione del proto-paziente preoccupato si sfoghi soprattutto presso le farmacie di fiducia e attraverso i medici di famiglia, tuttavia non mancano gli appelli accorati per evitare irrazionali ricorsi a questo preparato galenico, di cui l’unica certezza sono i suoi effetti collaterali, i quali sebbene relativamente rari, si verificano nello 0,2% dei casi e sono alquanto rilevanti: parotite, lesioni cutanee emorragiche, rialzo termico e artralgie, edema di Quinckedispneaipertiroidismo e gozzo a seguito del bloccaggio dell’ormonosintesi. Lo ioduro di potassio inoltre è un possibile agente teratogeno ed è assolutamente controindicato per donne in gravidanza e neonati, che dovranno essere evacuati prioritariamente dalla zona contaminata. Interessante anche l’informativa proposta dall’Utifar, l’unione tecnica italiana farmacisti, che scioglie alcuni nodi salienti.

Qualcuno però potrebbe anche decidere di avventurarsi nella preparazione dello ioduro di potassio, anche se non saprebbe da dove iniziare. Ecco tre “ricette” non troppo complicate e esposte in maniera pratica, ma da svolgere con tutte le precauzioni del caso, guanti, occhiali, opportuni dispositivi di protezione individuale, e soprattutto un minimo di dimestichezza con le schede di sicurezza di tutti i reagenti utilizzati e le normali pratiche di laboratorio. Importante: in un laboratorio chimico è imperativo non sottovalutare mai ogni possibile rischio in cui possiamo incorrere.  Queste sintesi potrebbero essere ideali in un laboratorio scolastico, eventualmente cercando di stimare le relative rese, o i differenti impatti ambientali di ciascun metodo.

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Fotosintesi alternative: la Vespa orientale e la xantopterina

Passatemi l’incipit fin troppo stereotipato di questi tempi, ma la recente e controversa rivelazione della NASA sulla biochimica all’arsenico di certi batteri,  impone una straordinaria cautela nel trattare argomenti che infrangono il limite delle conoscenze ormai date per assodate. Fin dalle scuole dell’obbligo ci insegnano che la fotosintesi è un processo biologico veicolato dalla luce del sole allo scopo di sostenere la vita vegetale. Sebbene alcuni dei passaggi della fotosintesi non siano ancora stati del tutto chiariti o esplorati, il quadro complessivo del sistema biochimico è ben noto fin dal 19° secolo.

ResearchBlogging.orgPossiamo pertanto accettare con sincera flessibilità la scoperta di una nuova variante della clorofilla in grado di utilizzare la parte infrarossa dello spettro elettromagnetico, possiamo stupirci con razionalità quando si presentano curiose simbiosi tra cianobatteri e specie animali che ne traggono qualche vantaggio, come i coralli, le spugne e le anemoni marine, perfino le salamandre possono vantare un caso!

Come si reagisce invece alla notizia che un tipo di vespide monta sul suo posteriore un paio di sfavillanti pannelli solari gialli in grado di assicurare il necessario supporto energetico durante le frenetiche e incessanti attività edili diurne?

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