Le tre R del farmacologo etico

L'alba del pianeta delle scimmie. Non è necessario che la fantascienza diventi realtà ogni volta...

L’argomento è spinoso, il dibattito è aperto e vivace più che mai. Come molti possono immaginare, nel mondo ipertecnologicamente avanzato in cui viviamo, dove la scienza ha compiuto enormi progressi in tutte le direzioni, non è più possibile rassegnarsi al fatto che la sperimentazione animale sia ancora del tutto insostituibile.

Non è una questione di soldi, anzi come vedremo l’impegno economico per l’impiego di cavie per testare un farmaco è molto elevato, ma secondo una gran folla di eminenti esperti, seppur loro malgrado, ancora non esistono alternative valide alle sperimentazioni in vivo in quanto esse rappresentano l’unica opportunità per apprendere e confermare l’efficacia di una nuova molecola.

Infatti, come sostiene Derek Lowe, per tutto ciò che sappiamo sulla biochimica, sulla fisiologia e per quanto riguarda la biologia in generale, i sistemi viventi sono ancora troppo complessi per noi da semplificare con un modello. Siamo molto più ignoranti di quanto sembriamo.

Questo tuttavia non significa affatto che non sia possibile immaginare un miglioramento…

Lo sviluppo di un farmaco, inteso come processo che porta un nuovo principio attivo sul mercato, è un iter lungo e costoso che potrebbe durare fino a 20 anni e costare quasi due miliardi di dollari, anche se le fonti sono discordanti, complesse e controverse, principalmente a causa del fatto che tutte le stime sono fornite volontariamente dalle case farmaceutiche e non esistono sistemi per validare tali dati, soprattutto perché vengono usati per giustificare il costo finale del farmaco. Nel dettaglio, si distinguono almeno quattro fasi principali, schematizzate come segue:

Scoperta e primi test, dalla durata variabile da 1 a 3 anni, in cui si inizia a delineare una necessità farmacologica studiando la malattia per determinare come il farmaco possa intervenire e le sue possibili interazioni. In questa fase è possibile considerare fino a 30.000 composti chimici come potenziali candidati, implicando approfondimenti di farmacodinamica e farmacocinetica. In estrema sintesi, sfruttando le parole di Leslie Z. Benet, è possibile definire la prima come l’effetto (o gli effetti) che il farmaco induce in un organismo, mentre la seconda rappresenta l’effetto che l’organismo impone ad un farmaco. Naturalmente queste due discipline complementari sono di gran lunga più complesse, ma questa non è la sede adatta per un ulteriore approfondimento, al quale vi rimando alle rispettive e più esaurienti voci di Wikipedia. Quello che è necessario sapere è che la tossicità di ogni farmaco viene determinata usando almeno due specie animali, tra le quali una appartiene sempre all’ordine Rodentia (volgarmente detti roditori) con i quali si osservano gli effetti di dosi singole e multiple con diversi metodi di somministrazione. Un trial di un paio di settimane con i ratti ha un costo stimato di circa 200.000 euro.

La revisione di sicurezza è la fase successiva in cui le case farmaceutiche tentano di ottenere le autorizzazioni necessarie per la sperimentazione clinica sull’uomo. Tutte le informazioni raccolte nella fase precedente devono essere presentate agli organi competenti, incluse le metodiche di sintesi previste per la produzione. Durante questa fase che dura un mese o poco più, si tenta inoltre di brevettare il farmaco, con costi dell’ordine di qualche decina di migliaia di euro cadauno.

Lo studio clinico dalla durata variabile da 2 a 10 anni, consiste nella somministrazione in soggetti umani dei circa 100-200 principi attivi che hanno superato la prima fase di selezione e si suddivide in ulteriori livelli progressivi che hanno lo scopo di selezionare ulteriormente i candidati farmacologici determinandone la sicurezza, la tollerabilità, gli effetti collaterali, ecc. Al termine del trial clinico solo il 4-10% dei composti chimici iniziali superano con successo l’osservazione.

L’approvazione finale potrebbe richiedere anche un’attesa di sette anni, giustificata dalla determinazione dell’effettiva sicurezza ed efficacia che la vendita al pubblico di un nuovo farmaco giustamente necessita.

In tutto questo lungo e dispendioso processo per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci, la sperimentazione animale sembrerebbe davvero un passaggio fondamentale, dal quale dipende la solidità stessa della ricerca e i motivi sono molteplici e intuibilmente dipendenti dai grandi interessi che entrano in gioco, oltre alla consolidata attendibilità che i modelli basati sull’impiego di animali sembrerebbero assicurare.

Il motivo per il quale è raccomandabile l’uso del condizionale, può essere ricercato anche nella storia recente della farmacopea. Eclatante infatti è stato il caso della reboxetina, un antidepressivo che ha superato con successo la sperimentazione animale, ma che in seguito ha rivelato tutta la sua fallacia, in quanto sebbene dimostrasse efficacia in tutti i modelli animali considerati, una metanalisi successiva sui dati clinici ha stabilito la sua totale inefficacia sull’uomo oltre ad una sostanziale pericolosità, elementi per i quali il ritiro dal commercio e l’interruzione dei promettenti studi relativi a nuove possibilità terapeutiche sono stati inevitabili.

I due enantiomeri della talidomide.

Un richiamo alla tristemente nota talidomide è altrettanto inevitabile. Negli anni cinquanta del secolo scorso, dopo ben 3 anni di prove condotte su animali, fu messo in commercio e destinato in particolare alle donne in gravidanza, nonostante non fosse mai stato testato prima su animali gravidi. La somministrazione del farmaco si rivelò disastrosa, e numerosi casi di neonati con gravi malformazioni videro la luce. Inizialmente si pensò che il problema dipendesse da una certa impurezza nella sintesi molecolare. Infatti il 2-(2,6-diosso-3-piperidinil)-1H-isoindol-1,3(2H)-dione è una molecola chirale, ovvero può esistere nelle due forme racemiche (enantiomeri) caratterizzate da una somiglianza di tipo speculare, la stessa somiglianza che impedisce la sovrapposizione completa delle nostre mani. Solo in seguito si comprese che anche isolando lo stereoisomero (R), in vivo esso si converte con un meccanismo complesso (racemizzazione) nella forma (S), pericolosamente teratogena.

Quello che risulta chiaro è che esiste una seria controversia scientifica sull’effettivo potere predittivo dei modelli animali nei confronti dei farmaci e delle malattie. Tralasciando gli innumerevoli abusi di cui alcuni rami deviati della comunità scientifica si è macchiata, come ad esempio il caso Britches o quello delle scimmie di Silver Spring, è innegabile che gli animali rappresentino dei formidabili bioreattori in grado di fornire molte delle risposte utili alla ricerca farmaceutica. Tuttavia questo non può mai essere sinonimo di sicurezza in quanto non tiene conto di differenze qualitative e quantitative, oltre alle evidenti differenze evolutive che distinguono gli esseri umani dagli altri animali, come ben noto nella pratica tossicologica.

Infatti se consideriamo la tossicità del fenolo, scopriremo che umani e ratti lo espellono con due percorsi distinti: coniugazione del solfato e coniugazione dell’acido glucuronico. Esiste una differenza quantitativa tra i due percorsi negli umani e nei ratti, in quanto il rapporto fra i due percorsi è sostanzialmente diverso in ciascuna specie. Inoltre esistono anche differenze qualitative, ad esempio i gatti sono incapaci di coniugare l’acido glucuronico e la via del solfato risulta esclusiva. Per i suini è vero il contrario, e non è trascurabile il fatto che per i primati esistono almeno sette altre vie metaboliche, come quella basata sull’acido chinico. Ne consegue che anche se la stessa funzionalità accomuna due specie (come l’eliminazione del fenolo), il meccanismo che soggiace non è necessariamente identico e nel contesto tossicologico (e farmacologico) queste differenze risultano fondamentali per garantire l’assoluta sicurezza e utilità del farmaco.

Si potrebbe obiettare che non bisognerebbe criticare i modelli animali a meno di non fornire alternative migliori per la ricerca, ma, per fare un’analogia infelice, nemmeno la fallace predittibilità dell’astrologia possiede alternative, tuttavia nessuno si lamenta quando ciò viene sostenuto. Probabilmente ciò su cui bisogna ragionare è l’attendibilità della previsione stessa, tenendo conto che sembrerebbe logico iniziare un approccio intraspecie piuttosto che interspecie, oltre alla vera consapevolezza che la complessità del problema non si riduce semplicemente utilizzando un modello abbastanza complesso.

A questo punto però, rimangono da esplorare le alternative proposte dai detrattori della sperimentazione animale, che esistono davvero anche se non godono della stessa popolarità tra i ricercatori, nonostante il fatto che inizino a comparire tra le priorità eticamente imposte dalle 3 R.

La strategia delle tre R (Rimpiazzo, Riduzione, Raffinazione) è stata suggerita dallo zoologo William Russell e dal microbiologo Rex Burch, nella quale il Rimpiazzo rappresenta l’obiettivo finale. Numerose sono ormai le campagne e i workshop organizzati dal FRAME (Fund for the Replacement of Animals in Medical Experiments), l’organizzazione no-profit che raccogliendo la strategia delle 3 R, si prodiga per la sostituzione dei metodi di sperimentazione animale con alternative che ne fanno a meno. Nel caso in cui le alternative a disposizione non siano valide, il FRAME ritiene che sia opportuno Ridurre per quanto possibile il numero di animali coinvolti e che le procedure applicate dovrebbero essere Raffinate per minimizzare qualsiasi dolore o potenziale sofferenza, almeno nel tempo che occorre per conseguire l’obiettivo primario.

Pelle sintetica

Fra le alternative più in voga, troviamo la pelle sintetica che viene già impiegata con successo nei trapianti degli ustionati gravi. Essa rappresenta uno degli organi più estesi dell’essere umano e può essere coltivata in laboratorio con relativa facilità, infatti sempre più spesso viene sfruttata per l’esecuzione di test per la compatibilità farmacologica, nel conseguimento di sistemi diagnostici in vitro sempre più attendibili e performanti.

I modelli computerizzati (in silico) hanno ormai raggiunto prestazioni eccellenti, anche se sono ancora in rapido e costante progresso, come già in precedenza ho riportato in un esempio. Questi in congiunzione con la progettazione statistica avanzata, potrebbero rappresentare la vera chiave di Volta per una sofisticata simulazione del metabolismo, della farmacodinamica e relativa cinetica, in modo da ottemperare alle prescrizioni che le 3 erre propongono.

La scienza ad accesso aperto costituisce il più illuminato mezzo a nostra disposizione per accelerare la ricerca. L’impatto potenziale di un approccio open sull’industria farmaceutica non è da sottovalutare. Sebbene per questo soggetto esista un certo interesse nei confronti dell’open innovation, forse incentivato anche dalla recente crisi, non è ancora del tutto chiaro che i progressi e la scienza devono essere diffusi e condivisi con il mondo esterno. Qualche timido e virtuoso esempio è rappresentato da Altwebthe Alternatives to Animal Testing Web Site, un progetto del Johns Hopkins School of Public Health creato per servire da portale ricco di news, informazioni e risorse online sulle alternative disponibili.

Le domande che emergono sono ancora molte. Chi sosterrà la ricerca di base necessaria all’implementazione di queste alternative? Chi si occuperà di regolamentare la condivisione della ricerca sostenendo principalmente la pubblicazione dei risultati in regime di open access in modo da soddisfare il necessario aggiornamento che gli enti regolatori necessitano, insieme ai centri di ricerca ed a tutta la comunità scientifica coinvolta? E ancora: gli sforzi dell’open access possono davvero fornire un’alternativa complementare al processo tradizionale per la ricerca farmaceutica?

Anche se le risposte non sono ancora disponibili, vale sempre la pena di approfondire. I posteri ne gioveranno…

Fonti:

Animal Testing: A View From the Labs

Pharmaceuticals-How Are They Produced?
ResearchBlogging.org
Shanks, N., Greek, R., & Greek, J. (2009). Are animal models predictive for humans? Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine, 4 (1) DOI: 10.1186/1747-5341-4-2
Kapetanovic, I. (2008). Computer-aided drug discovery and development (CADDD): In silico-chemico-biological approach Chemico-Biological Interactions, 171 (2), 165-176 DOI: 10.1016/j.cbi.2006.12.006
Woelfle, M., Olliaro, P., & Todd, M. (2011). Open science is a research accelerator Nature Chemistry, 3 (10), 745-748 DOI: 10.1038/nchem.1149

21 pensieri su “Le tre R del farmacologo etico

  1. Un ottimo articolo Gifh che condivido.
    Ci sono comunque due precisazioni che vorrei fare: per prima cosa molto spesso (forse più dell’80%) nella sperimentazione vengono usate colture cellulari o fettine di organi, non animali per sperimentazioni in vivo. Significa che l’animale viene sacrificato e i suoi organi prelevati per coltivazioni o per sperimentazione in situ.
    Quindi bisogna distinguere tra l’uso dell’animale in vita e l’uso dei suoi organi. Dal mio punto di vista c’è una differenza etica enorme tra i due casi. Capisco che per un ambientalista non vi sia alcuna differenza ma allora dovremmo vietare la macellazione degli animali per l’alimentazione per coerenza. Tra l’altro ci sono più controlli sul maltrattamento degli animali da laboratorio che sui mattatoi. Un topo da laboratorio ha una vita migliore di una mucca da macello per dire. Le leggi poi ormai sono così restrittive (giustamente!) che qualsiasi maltrattamento o abuso riportato alle autorità porterebbe all’arresto dei responsabili e alla chiusura del laboratorio.

    Detto questo la ricerca sulle staminali potrebbe portarci alla coltivazione degli organi in vitro (già lo fa con la epidermide e con altri tessuti). Questo potrebbe sostituire l’utilizzo degli animali. Io credo che questa sia solo una fase della ricerca moderna e che arriveremo a utilizzare in futuro modelli diversi. Ma per arrivare a questi modelli spesso dobbiamo sacrificare degli animali: questo deve essere compreso anche dagli ambientalisti. Non si può creare un modello artificiale senza aver studiato quello naturale. Quindi ben vengano modelli alternativi ma a mio parere non è ancora tempo.

  2. @paopasc
    Grazie, in effetti ho approfittato di una buona imbeccata! 🙂
    @laperfidanera2
    Prima o poi mi sdebiterò, nel frattempo ti ringrazio!

    @fabristol
    Apprezzo molto il tuo commento, in effetti cerco di adagiarmi in una posizione un po’ scomoda per un dibattito fin troppo polarizzato. Quello che vorrei sottolineare, conscio del fatto che, come ho asserito nel post, è ancora presto per abbandonare la sperimentazione animale, è che bisognerebbe impegnare maggiori risorse nella ricerca di alternative senza trincerarsi dietro posizioni ormai anacronistiche e superate. Quello che scrivi sulle attuali restrizioni e regolamentazioni (fin troppo vincolanti secondo alcuni, ancora troppo elastiche secondo altri) è assodato e ci mancherebbe che così non fosse, visti i precedenti…
    Quello che invece non sopporto, sono i confronti con gli animali destinati all’alimentazione, e perché no, con la caccia, il bracconaggio, i maltrattamenti casalinghi, la soppressione dei randagi, le minacce alle specie in via di estinzione e via dicendo, in quanto decontestualizzano il problema senza risolverlo e senza apportare miglioramenti alla discussione.
    Infine, se ciò non fosse emerso abbastanza chiaramente dalla mia disamina, quello che mi piacerebbe scoprire è la reale efficacia in termini di produttività e sicurezza del sistema “sperimentazione animale” versus la moderna modellistica computerizzata che ha infinite potenzialità tuttora inesplorate rispetto a qualsiasi surrogato biologico che si possa mai immaginare.

    Si tratta di evolvere verso sistemi più etici e performanti, il tempo necessario dipende da noi …

  3. “Quello che invece non sopporto, sono i confronti con gli animali destinati all’alimentazione, e perché no, con la caccia, il bracconaggio, i maltrattamenti casalinghi, la soppressione dei randagi, le minacce alle specie in via di estinzione e via dicendo, in quanto decontestualizzano il problema senza risolverlo e senza apportare miglioramenti alla discussione.”

    A mio parere no, visto che coloro che si battono per i diritti degli animali nei laboratori non fanno lo stesso per i diritti degli animali da macello. Se chi contesta la ricerca sugli animali sposta il livello di discussione dalla ricerca ai diritti animali perché non devo farlo anch’io e far notare l’incongruenza delle argomentazioni su un piano etico. Ricordati che le discussioni nel mondo ambientalista non riguardano i “nuovi” metodi di ricerca o le famose alternative o le 3 R della ricerca (probabilmente la maggior parte delle persone non ha la più pallida idea di cosa siano), riguardano i diritti degli animali, la loro sofferenza ecc.Quindi il piano di discussione è lo stesso anche se tu non vorresti che fosse questo.

    “Infine, se ciò non fosse emerso abbastanza chiaramente dalla mia disamina, quello che mi piacerebbe scoprire è la reale efficacia in termini di produttività e sicurezza del sistema “sperimentazione animale” versus la moderna modellistica computerizzata che ha infinite potenzialità tuttora inesplorate rispetto a qualsiasi surrogato biologico che si possa mai immaginare.”

    Ma i modelli computerizzati si basano su dati presi da animali morti! Non nascono dal nulla. Se oggi riesci a fare una mappa dei neuroni-specchio di una scimmia e del loro comportamento generale in un computer lo puoi fare solo perché migliaia di scimmie sono state sacrificate. Per quello che io parlo di una fase transitoria di questo tipo di scienza. Una volta raccolti i dati di base l’uso degli animali verrebbe ridotto drasticamente, anche perché mantenere una colonia di topi costa più di un PC.

    • Guarda, fuor di qualsiasi polemica, personalmente prendo solo atto che c’è chi autorevolmente sostiene che ogni prova di tossicità e soprattutto di non tossicità delle sostanze chimiche cada col passaggio dall’animale all’uomo e che le alternative emergenti necessitano di maggiore attenzione, come queste per esempio: issues recommendation on three alternative-to-animal testing methods for carcinogenicity. Scusa, ma quando leggo (tra le citazioni) che la predittibilità di un test su una cavia ha la stessa probabilità di una puntata su un cavallo, mi si accappona la pelle… Poi magari sottovaluto troppo.

      • “Scusa, ma quando leggo (tra le citazioni) che la predittibilità di un test su una cavia ha la stessa probabilità di una puntata su un cavallo, mi si accappona la pelle… Poi magari sottovaluto troppo.”

        E l’alternativa? Altro che accaponare la pelle!
        Sappiamo tutti che da una specie all’altra ci sono cambiamenti enormi nella tossicità, perfino tra individui della stessa specie ma l’alternativa è ancora peggio. Insomma non stiamo parlando di una scienza esatta e come hai scritto benissimo tu nel post prima di vendere il prodotto viene testato su volontari UMANI. Ed è quella la prova del 9.

      • D’accordo, però mi sembra di capire che la sperimentazione animale è una risorsa presente da tempo (qualcuno direbbe collaudata), mentre le alternative si sono evolute solo di recente e, come è facile intuire, possono risentire di un certo conservatorismo.

    • “A mio parere no, visto che coloro che si battono per i diritti degli animali nei laboratori non fanno lo stesso per i diritti degli animali da macello.”

      tieni conto che ci sono diverse sfumature nel mondo dell’animalismo, si va da chi vorrebbe riconoscere un minimo di diritti agli animali (animal welfare) a chi vuole abbattere le barriere di specie: dai diritti degli animali ad una liberazione animale. Non è vero che chi si batte per i diritti degli animali nei laboratori non ha a cuore quelli degli animali da macello, si tratta di iniziare da dove c’è una maggiore probabilità di successo. Imporre il vegetarianesimo a tutti è un po’ più utopico 🙂

  4. Ciao Gifh, grazie per l’intervento al mio post! (ho aggiunto al post la tua segnalazione della guida europea).
    Per rimanere al tema del tuo post, invece, uno dei problemi è che i trial clinici sono decisamente costosi tanto da necessitare l’investimento di farmaceutiche, e dove ci sono le farmaceutiche i dati non sono open… almeno non erano perché la glaxo-smithkline ha reso accessibili i suoi dati su un buon numero di composti chimici potenzialmente utili contro la malaria. se anche big-pharma ha capito che la cooperazione è meglio della competizione… forse ha fiutato un business 🙂
    PS ti metto nel mio blogroll, magari riusciamo a linkarci dei contenuti interessanti.

    • Grazie a te ricambierò! In effetti in questi ultimi tempi che l’open access prende sempre più piede, certi argomenti non rimangono solo appannaggio di specialisti, e fortunatamente di questa situazione ne giova la comunità tutta, senza contare che diventa sempre più difficile nascondere dati, per cosi dire, scomodi! 😉

  5. Condivido in pieno, però permettimi di dissentire sulla talidomine. All’epoca, parliamo degli anni ’50, non erano richiesti per l’immissione in commercio test di teratogenicità, così sebbene come riporti tu, fu testata per tre anni con svariati test in vivo, nessuno di essi era su animali gravidi. Dopo il ritiro dal commercio, negli anni ’60, ne fu dimostrata la teratogenicità in diversi modelli animali, se questi test fossero stati fatti prima la talidomine non sarebbe mai entrata in commercio, questo a dimostrare, che sebbene abbia grossi limiti, nella fase attuale la sperimentazione animale è indispensabile.

    • Ciao Marvin, purtoppo non si possono trarre queste conclusioni dimostrando col senno di poi, quello che è successo è stato il frutto di un sistema fallace ovvero è emerso solo dopo che gli effetti del talidomide erano stati osservati negli umani. Piuttosto c’è una cosa che avrei voluto sottolineare meglio, pensa che ci fu un notevole ritardo nel ritiro del farmaco dal mercato, proprio a causa dei test di teratogenesi sugli animali che continuavano a fornire risultati rassicuranti. Per altre info a riguardo, ti lascio un buon link. Un caro saluto e grazie per il gradito passaggio.

      • Grazie per il link. Purtroppo trovo la ricostruzione un po’ di parte, la situazione era un po’ più complessa, la talidomide fu immessa nel commercio nel 1957 e ritirata dal 1961 al 1962, a seconda dei Paesi. I primi studi sugli animali ci furono nel 1961, e non furono affatto negativi, anzi nel primo Somers (ahimè non trovo il lavoro originale) sostiene che i risultati contrastanti emersi dal suo studio furono dovuti alla forma farmaceutica utilizzata, poco bio-disponibile, ed infatti ripetendo lo studio nel 1962 provò il nesso tra teratogenicità e talidomine. Ma nel 1962 oramai la talidomide era stata ritirata non furono gli studi sugli animali ad essere decisivi, né nel bene, né nel male. In realtà larga fetta dei medici allora riteneva che nessun composto potesse passare la barriera ematoplacentale e causare effetti sul feto. Per lo più c’erano grossi interessi economici, così molti studi controllati su donne gravide (non animali) furono distorti al fine di dimostrare l’innocuità della talidomide, cito da Wikepedia: “Nel 1958 Blasiu effettuò uno studio clinico (Medizinische Klinik) su 370 pazienti, 160 dei quali erano madri in allattamento, e concluse dicendo che “non sono stati osservati effetti collaterali né nelle madri né nei bambini”. Nello stesso anno la Grunenthal riprese i risultati dello studio di Blasiu esagerandoli, e mandò una lettera a 40.000 medici dichiarando che Blasiu “ha somministrato la talidomide a molte pazienti del suo dipartimento di ginecologia e nella sua pratica di ostetricia”. Gli studi sugli animali vennero in seguito, i primi, cercando su pubmed o scopus sono del 1964, e sono tutti concordi nell’evidenziare la teratogenicità della talidomide, ovviamente, come citato anche nel tuo link, con effetti differenti a seconda della specie, ed infatti i test di teratogenicità sono ideati per cercare di sopperire a questo. Comunque dal 1962 la FDA rese obligatorio i test di teratogenicità, e, fortunatamente, da allora non ci sono stati altri casi simili alla talidomide, una fortuita coincidenza? Oppure i modelli animali, per quanto poco accurati, sono utili? Questa vicenda, a parer mio, mette in evidenza due cose. Prima cosa i forti interessi economici delle grandi case farmaceutiche, che spesso manipolano i dati, un altro esempio noto è il Vioxx. Secondo: l’utilità e la necessità di un largo numero di test (animali e non) prima di immettere un farmaco in commercio. Guardando al futuro sono in fase di sviluppo test in vitro su cellule staminali anche per determinare la teratogenicità (Uwe Marx, Volker Sandig, Drug testing in vitro: breakthroughs and trends in cell culture technology, Wiley-VCH, 2007, pp. 107-8.), quando saranno affidabili, potremmo abbandonare i test in vivo, ma al momento questi ultimi, sebbene con i loro limiti, sono uno strumento prezioso. È così che funziona la scienza, finché non hai un modello più accurato del precedente, il precedente resta valido, seppure con i suoi (grossi) limiti.

      • Ma infatti l’intenzione è proprio quella di stimolare i processi di validazione dei sistemi alternativi, i quali sono fin troppo ostacolati da interessi di parte che vedono la sperimentazione animale come un ottimo alibi nei casi in cui qualcosa andasse storto. Concordo che la situazione ai tempi era molto complessa, tuttavia ci sono testimonianze processuali che molti casi furono messi a tacere ben prima del ritiro dal commercio, grazie a generosi oboli versati ai possibili querelanti. Allo stesso modo non era una novità, già negli anni ’50, che altri principi attivi avessero la capacità di attraversare la barriera ematoplacentale:

        “In the ten years preceding the appearance of Thalidomide not less than 25 compounds were shown by various investigators ranging from Japan to the United States, to England and France, to affect the foetus in utero, either killing many foetuses or inducing malformations. The findings by the various investigators were published in scientific journals and distributed internationally.”
        Prof. John B. Thiersch, Director of the Institute of Biological Research and Professor of Clinical Pharmacology in the University of Seattle – in a statement at the Canadian Thalidomide Hearings.

        In questo documento da cui ho tratto la citazione, troverai sicuramente altre chicche, oltre ad una fedele ricostruzione storica dei fatti avvenuti.

        Sicuramente sarà contestabile, tuttavia di recente anche la HRA australiana (si lo so è un’altra associazione antivivisezione!) ha dichiarato che nessuna sperimentazione animale avrebbe impedito un tale disastro, in quanto i test che furono condotti sul coniglio della Nuova Zelanda (uno dei pochi animali con risposta analoga a quella umana) diedero risultati positivi solo dopo sovradosaggi pazzeschi e prolungati. Non proprio un campanello d’allarme, neh?

        Infine, alla luce di quanto recentemente stabilito dalla Dichiarazione di Cambridge sulla Coscienza, anche gli animali ne hanno una, e diventerebbe sempre più disumano sfruttarli, tralaltro con dubbia efficacia, solamente per garantire l’avvallo legislativo per una successiva sperimentazione umana, che alla fine sarà quella che conta davvero. Un inutile passaggio che avvantaggia chi, se non coloro che trafficano in cavie da laboratorio?

  6. Pingback: Punti di vista neutrali cercasi per valutazione ricerche su OGM, astenersi perditempo! | Il chimico impertinente

  7. Sai, l’idea che hai che il mondo della ricerca scientifica sia “fossilizzato” su metodi obsoleti è quanto di più lontano dalla realtà possa esistere. Ogni giorno vengono adottati nuovi metodi, migliori tecniche in vitro che permettono di ridurre la quantità di animali utilizzati, metodi diagnostici meno invasivi (pensa alla PET per topi) ecc. Esistono dei centri di ricerca specializzati in questo, come il CAAT (center for alternative to animal testing) della John Hopkins o l’ECVAM (european center for the validation of the alternative methods), a cui spetta il merito di aver completamente eliminato dall’Europa la sperimentazione animale per i cosmetici, tanto che è stata abolita dal 2005 e da quest’anno non sarà più possibile vendere nel territorio dell’unione cosmetici testati sugli animali. Curioso notare che questi centri, che sfornano continuamente nuove tecniche, sono finanziati principalmente dalle case farmaceutiche, mentre dalla grandi associazioni antivivisezioniste (tipo PETA e LAV, che hanno bilanci milionari) non si è vista una lira. Questa a me sembra malafede da parte delle associazioni: continuamente a fare inutili azioni di propaganda, danneggiando la stessa salute animale (come le “liberazioni” delle cavie) e demonizzando quotidianamente i ricercatori (che lavorano anche per la salute di questa gente), ma dove si lavora veramente e seriamente per ridurre, e forse un giorno eliminare, la sperimentazione animale non li si è mai visti.

    • Caro G,
      penso che anche l’idea che tu abbia di me sia un po’ pregiudizievole, me ne farò una ragione. 🙂
      Conosco il CAAT e l’ECVAM (non li ho linkati?), e secondo questa pagina il PETA finanzia eccome la ricerca. La lira però è fuori corso da un decennio…
      Poi è chiaro che anche alcuni settori di Big Pharma siano interessati, ci mancherebbe. Questo non significa che sia giusto demonizzare ricercatori o che bisogna utilizzare la violenza per liberare gli animali, credo che una rilettura attenta non farebbe male in certi casi.

      • Non mi sembra di aver dato alcun giudizio su di te in questi commenti… Io ho commentato solo il contenuto dell’articolo, nientìaltro.
        E sì, la PETA ha finanziato alcune ricerche che gli erano gradite (al CAAT e all’ECVAM ancora non si sono fatti sentire, ce ne faremo una ragione) . E no,non si tratta di “anche alcuni settori di big pharma”, si tratta di una delle voci principali degli investimenti della maggior parte delle case farmaceutiche. Sì, le cattivissime case farmaceutiche sono i principali finanziatori dello sviluppo di metodi complementari. Ovviamente le case farmaceutiche lo fanno perché ogni nuovo metodo è per loro un notevole risparmio, e quindi un guadagno (mi chiedo ancora come si faccia a sostenere la sperimentazione animale venga fatta per ragioni economiche).
        Assente ingiustificata la LAV che ancora sostiene che, cito testualmente, “la maggior parte della vivisezione riguarda i cosmetici”.
        Questa è la risposta alla prima domanda che poni alla fine dell’articolo.

        E a proposito di rilettura attenta, la frase “le alternative proposte dai detrattori della sperimentazione animale, […] non godono della stessa popolarità tra i ricercatori” che compare nell’articolo, è semplicemente falsa. Innanzitutto perché queste alternative non sono affatto “proposte dai detrattori della sperimentazione animale”, in secondo luogo perché i ricercatori non scelgono le tecniche da utilizzare in base alla “popolarità”. La sperimentazione animale si applica solo in quei casi in cui non ci siano altre possibilità. Innanzitutto perché così prevede la legge, in secondo luogo perché ci sono un sacco di autorizzazioni da chiedere, e poi perché la sperimentazione animale è più costosa (e la maggior parte dei ricercatori, soprattutto in italia, opera in un contesto di risorse limitate), più lenta (anche il tempo è limitato), più complicata (tu li sai gestire i topi?) e più sporca. In ogni caso le tecniche cosiddette “alternative” (che in realtà sono complementari) sono molto più usate rispetto ai modelli animali. Anche per il semplice fatto che relativamente poche strutture sono attrezzate per gli animali.

      • Caro GGG,
        hai commentato il contenuto del mio articolo prima affermando che sono scollegato dalla realtà, quindi tacciandomi di falsità, forse ti aspetterai che porga l’altra guancia, ma temo di non riuscire ad accontentarti…
        Non ho ben capito se quanto affermi sono opinioni oppure hai anche qualche fonte a supporto, fatto sta che non ci vedo tutto questo entusiasmo da parte di big pharma (o preferisci che le chiami bad pharma come Goldacre?), nel finanziare alternative alla s.a., anzi mi sembra esattamente il contrario. Leggo qui ad esempio:

        The endeavour to consider animal testing not under scientific or
        ethical but business considerations reveals a number of stakeholders
        with significant commercial interests who are affected
        by the ethical and scientific discussions. Although it was difficult
        to produce a precise picture, since many figures are not
        freely available, an interesting picture already emerges on the
        basis of estimates and extra- and intrapolations. It shows that
        major industries, trade and workforces are intimately linked to
        regulation based on animal testing. It becomes clear that this
        is more than the simple production costs or imposed barriers,
        but that problems of the quality of current testing also have an
        impact on decision-taking and regulation of products.

        Converrai quindi anche tu (se avrai letto quel paper) che gli interessi in gioco nella sperimentazione animale vadano oltre la più fervida immaginazione di qualsiasi profano, me compreso, proprio perché i soggetti implicati sui due fronti non sono gli stessi e le lobby che hanno interessi nel mantenere lo status quo si adoperano affinché la situazione (soprattutto legislativa) non cambi affatto. Forse solo nell’industria cosmetica, a fronte della palese futilità del prodotto, difficilmente si poteva ancora sostenere una sorta di s.a. regolamentata, così da rendere addirittura più conveniente avvallare il cambiamento a fronte del ritorno di immagine che avrebbe generato tale operazione. Diabolico!

        Sul resto vorrei solo aggiungere che la frase che individui come falsa, si basa su esperienze di ricercatori, studenti e professionisti che hanno provato a far valere i propri diritti sull’obiezione di coscienza in materia di s.a., sancita dalla legge 413 del 12 ottobre 1993, ma sempre più spesso disattesa come rivela ad es. un’inchiesta della Fondazione Hans Ruesch in molti atenei italiani. Hai idea delle discriminazioni, per una semplice opinione, che molte di queste persone subiscono? Discriminazioni che influenzano carriere e valutazioni, esistenze e isolamenti coatti.

        Chiudo, ma volevo ancora evidenziare che negli ultimi anni il numero di animali utilizzati per la sperimentazione è in costante crescita, altro che favorire le alternative, mentre la famosa e auspicata Riduzione del numero di animali è praticamente impossibile da stimare. Giusto per essere trasparenti, no? 🙂

      • Innanzitutto (sempre a proposito di lettura attenta) io non ho accusato te di essere scollegato, ma ho detto che l’idea che il mondo della ricerca sia fossilizzato sugli animali è lontana della realtà. Se ti ho accusato di qualcosa semmai è di avere poca nozione di quello che è il mondo della ricerca biomedica oggi, ma non mi sembra una grave accusa dato che quasi nessuno “da fuori” ne ha .

        Quantoi al numero di animali sono aumentati (in alcuni casi) i numeri assoluti, ma i numeri utilizzati nei singoli studii sono oggi centinaia di volte inferiori a quelli passati. No, da parte delle big pharma (ma anche da arte delle case più piccole) non c’è alcun entusiasmo nel finanziare i metodi complementari, c’è solo convenienza. Come puoi vedere qui http://www.youtube.com/watch?v=ZL2YrDhFufA i topi (gli animali più usati dopo la D. melanogaster e C. elegans) costano circa 2 euro al giorno per esemplare di solo mantenimento, senza contare il costo dell’animale (fino a 300-400 euro ad esemplare), lo stipendio del veterinario, la manutenzione dello stabulario ecc. Certo che ci sono interessi commerciali, ma da parte di chi paga sono verso la riduzione e non verso l’aumento. Lo stesso articolo che mi citi, se vai oltre il titolo, spiega che dato che si fa più ricerca è normale aspettarsi (dove questo avviene) un aumento dell’utilizzo di animali in numero assoluto, così come un aumento di tutte le altre tecniche. Sarebbe come se io scrivessi che ci sono forti interessi commerciali a favore dell’uso di colture batteriche su agar perché queste sono molto aumentate nel corso degli anni. Questo se hai seguito un corso base di statistica dovresti inferirlo da te. Sempre nello stesso video che ti ho linkato (1:07:35) puoi vedere come nel più importante centro farmacologico esistente in Italia si usavano circa 100mila animali all’anno negli anni 80, contro i circa 12mila l’anno di oggi. Parlando di numeri generali comunque nel 2008 (ultimi dati disponibili, il report successivo, coi dati 2011, dovrebbe uscire nel corso di quest’anno) sono stati utilizzati in europa 12,0 milioni di animali per fini scientifici contando 27 stati membri (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2010:0511:REV1:IT:PDF), mentre nel report precedente (2005) ne risultavano 12,1 milioni contando 25 stati membri (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2007:0675:FIN:IT:PDF) quindi il numero è più o meno costante. Per quanto riguarda l’italia gli ultimi dati disponibili riportano un calo del 20% (GU 243 16/10/08), legato secondo me alla diminuzione in generale dei finanziamenti alla ricerca.

        Conosco la questione dell’obiezione di coscienza, ma vorrei ribadire che scrivere che le alternative sono “proposte dai detrattori” è falso, perché sono nella maggior parte dei casi progettate realizzate e proposte dagli stessi ricercatori che fanno anche sperimentazione animale (del resto, chi meglio di loro?), scrivere che “non godono della stessa popolarità” è falso perché non si tratta di popolarità. Quanto a questo, perdonami, ma non vedo collegamenti con l’inchiesta della HR, che riguarda la possibilità per i singoli studenti di non partecipare alle esercitazioni che comprendono l’uso di animali (ivi comprese autopsie e semplice osservazione di animali vivi) e la cui inadempienza è nella maggior parte dei casi legata alla mancata comunicazione da parte degli atenei dell’esistenza di questa possibilità.

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